Dall’abitare per essere, all’essere per abitare

La casa e l’abitare caratterizzano la mia vita professionale e personale da molto tempo.

Formata come Interior and Industrial designer, ho fatto esperienza, presso studi di architettura e come libera professionista, nella progettazione d’interni e, dopo questo periodo in cui mi sono occupata di estendere le mie competenze tecniche ed estetiche, ho capito che tutto ciò non era sufficiente per accompagnare le persone alla realizzazione della propria casa.

Penso infatti che designer e architetti debbano essere delle guide attente a cogliere la domanda dei clienti e capaci di tradurre i loro bisogni e desideri in case da abitare. Una traduzione che deve essere non solo formale e funzionale, ma posta ad un livello diverso, più intimo e simbolico, esistenziale.

Abitare è per noi un po’ come respirare, lo facciamo da quando siamo nati ma raramente ne siamo consapevoli.
Cresciamo e viviamo dentro case dalle quali siamo avvolti come dall’aria, ci muoviamo in esse. Eppure, mentre conosciamo bene cosa facciamo all’interno delle nostre abitazioni, come mangiamo, come dormiamo, come ci vestiamo, molto più difficilmente siamo in grado di dire come abitiamo e che cosa significhi per noi.

Abitare ed essere hanno reciproci rimandi e l’uno sostanzia l’altro.
Abitare è una condizione, uno stato: “Io sono di”…molto spesso equivale a dire “Abito a…”.

Questa appartenenza ad un “terreno” fisico, sociale e culturale contribuisce alla costruzione dell’identità dell’individuo. Il bambino nasce in una famiglia e, dunque, in una “casa”, in qualsiasi modo essa sia stata realizzata e venga vissuta.
Allo stesso tempo abitare è un comportamento che accompagna l’esistenza: abitando una “casa” l’uomo esprime, infatti, il proprio modo di essere.

La mia ricerca, nasce dalla domanda sull’importanza per la progettazione di interni di essere consapevoli della dimensione esistenziale implicita nella domanda della clientela.
Quanto è importante e complesso il concetto dell’abitare e in che modo una presa di coscienza, in tal senso, può migliorare la qualità del vivere la propria casa?

Quanto la conoscenza del rapporto tra casa, abitare e struttura dell’identità è una componente qualificante il lavoro di Interior design?

I luoghi dell’abitare.

Immagine di Francesca Bianchelli

La creazione del luogo in cui abitare è un atto ontologico: lo è per una collettività quando, circoscrivendo uno spazio, vi fonda il suo insediamento orientando così quel luogo rispetto al non-abitato; in modo analogo lo è per ognuno di noi quando progettiamo e arrediamo la nostra abitazione, trasformando uno spazio neutro in un luogo che ha valore per noi. Ad esso affidiamo un’immagine, diventa “casa”, centro del nostro mondo e proiezione della nostra personalità.

Esiste un passato ambientale dato dalla sedimentazione degli luoghi in cui l’individuo ha vissuto, che lo hanno nutrito e sostanziato e che riguarda l’identità-idem, la permanenza nel tempo.

Altresì, nel corso degli anni, eventi hanno apportato cambiamenti, spesso repentini e radicali, eppure il nostro essere noi stessi si è comunque manifestato in nuove case, in paesi lontani o nuovi modi di abitare. La nostra identità-ipse o ipseità.

Come saremmo se ogni giorno dovessimo cambiare casa?

O se non riuscissimo ad averne memoria?

Cosa rimarrebbe di noi se non potessimo raccontare a noi stessi o ad altri la nostra vita, sfiorando gli oggetti che abbiamo scelto e di cui siamo circondati?

La casa come strumento di consapevolezza

Immagine di Francesca Bianchelli

Partendo da queste riflessioni vorrei tratteggiare alcuni possibili prospettive per la psicologia dell’abitare, intendendo con questa definizione utilizzata, al momento, in ambiti non scientifici ma appartenenti al settore del real estate, lo studio delle implicazioni tra ambiente domestico e identità dell’abitante.
In primo luogo, la “casa” come «strumento di analisi», riprendendo Bachelard: la consapevolezza dell’ambiente vissuto (la propria casa, il luogo di lavoro, lo stesso studio del terapeuta) può divenire occasione di indagine per la soluzione di problematiche relazionali, proprio in quanto “ogni ambiente fisico è anche ambiente sociale”, parafrasando un assunto della psicologia ambientale (Baroni, 2008).
Lavorare su immagini, parole, odori legati ai luoghi e che rimandano ad aspetti emotivi, affettivi e cognitivi, può aumentare la consapevolezza della place identity; evidenziare discrepanze tra essa e l’ambiente in cui vive l’individuo potrebbe forse portare ad azioni di cambiamento nell’ambiente o in se stesso per arrivare ad un immagine più congruente del proprio sé.

In secondo luogo l’importanza di un approfondimento psicologico nell’ambito delle professioni riguardanti la casa e l’abitare e dunque inserire sia nella formazione di nuovi designer e architetti, sia nelle équipe di professionisti incaricati della progettazione di spazi residenziali e di strutture comunitarie (scuole, ospedali…) una nuova figura specializzata nelle tematiche della psicologia dell’abitare.

La progettazione del luogo in cui si abita può finalmente essere vista come necessità della persona che trova e ri-trova il proprio benessere psicofisico nell’abitare il proprio spazio in modo funzionale, non solo ai bisogni fisiologici e socio-culturali, ma più intimamente identitari.

 

Tratto da – “Dall’abitare per essere all’essere per abitare. Percorsi costruttivi dell’identità” – Catia Mengucci 2016 – formatrice MEM, docente e responsabile IPSE Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia, interior designer.