Beatrice Spirandelli: recuperare la tradizione, ma con spirito innovativo

Chi è Beatrice Spirandelli

L’architettura naturale è il suo imprinting. Beatrice Spirandelli tiene molto alle sue origini contadine e artigiane, avendo avuto un nonno agricoltore, un secondo nonno ed un papà dediti alla falegnameria. 

Laureatasi alla metà degli anni Novanta, nella sua carriera professionale si è dedicata all’interior design per il retail prima di concentrare il suo lavoro sulla bioedilizia e sulla illuminazione naturale. Non solo in un’ottica di risparmio energetico, quanto soprattutto di creazione della salubrità. 

Instancabile divulgatrice, ha scritto “Progettare edifici passivi con materiali naturali” edito da Legislazione Tecnica nel 2020 e, insieme a Marco Moro, “La casa ecologica. Esempi di ecosostenibilità nel mondo”, Ed. White Stars, 2011.

Quando parli con Beatrice Spirandelli senti subito scorrere la naturale concretezza e la convivialità di chi ha lo spirito pratico in corpo. Unito ad un entusiasmo irrefrenabile verso tutto ciò che innova migliorando la tradizione e la natura.

Mens Sana in Casa Sana

MEM – Siamo rimasti colpiti dal tuo claim: “MENS SANA IN CASA SANA”. Cosa intendi comunicare con questa parafrasi del celeberrimo proverbio latino?

B.S. – Il primo ad introdurre il concetto che oggi chiameremmo “medicina dell’habitat” fu Ippocrate nell’antica Grecia ateniese del 400 a.C.: lui parlava di “ambiente sano”, noi oggi di “comfort” e di “benessere”. In realtà, se ci pensiamo bene, questi due concetti vengono dopo quello di “salubrità”: l’ambiente deve anzitutto farmi star bene, cioè in salute. Fisicamente e mentalmente. Non posso pensare al comfort mentre sto male!

Architettura Circolare, cos’è?

MEM – Nel tuo lavoro ti occupi moltissimo di “architettura circolare”: di cosa si tratta?

B.S. – Progettare privilegiando il recupero, il riutilizzo ed in genere il miglioramento dell’esistente, sia a livello architettonico nel senso proprio delle costruzioni, sia per quanto riguarda la scelta e l’impiego di prodotti per l’edilizia e per il design realizzati con scarti di altre produzioni. Per esempio, esistono prodotti per finiture e isolamento realizzati con gli scarti della produzione del riso o di altri comparti agricoli. 

In campo architettonico privilegio la ristrutturazione rispetto alla ricostruzione o alla costruzione ex-novo: avete mai visto in giro quegli edifici nuovi costruiti accanto a quelli vecchi? Mi chiedo sempre perché non si è proceduto al recupero dell’esistente, risparmiando suolo e materiali.

MEM – L’obiezione comune è la non convenienza economica.

B.S. – Il costo dipende anche dalla bravura del progettista e dalla prospettiva con cui si valuta l’investimento economico. Inoltre, a livello amministrativo è sempre più spesso previsto l’obbligo di verificare l’effettiva impossibilità a procedere con il recupero dell’esistente prima di poter costruire da nuovo! Aldilà di casi specifici, comunque, è una questione anzitutto culturale, di mentalità: ragionare in un’ottica di minor spreco di suolo e risorse.

Alcuni esempi di Economia Circolare

MEM – Ci puoi fare qualche esempio di tue realizzazioni secondo il principio dell’architettura circolare?

B.S. – Senz’altro ricordo con molto piacere la realizzazione di un supermercato biologico in anni in cui non andava minimamente di moda né il biologico, né l’architettura circolare. In seguito ho realizzato tantissimi interventi di riqualificazione energetica, progettando cappotti e privilegiando l’utilizzo di materiali “circolari”.

Un intervento in corso è la ristrutturazione di un rudere in pietra: il progetto ne prevede la conservazione e un piccolo ampliamento nel massimo rispetto dell’originale e del territorio.

Per realizzarlo ho inserito nel rustico riqualificato una struttura in legno prefabbricata e isolata con paglia di riso che mi ha permesso di isolare alcuni ambienti e di ampliarli. Il tutto sarà realizzato con finiture in materiali esclusivamente naturali o rigenerativi. E’ un progetto che mi permette di sperimentare fino in fondo tutti i princìpi in cui credo e al quale tengo moltissimo. 

Casa UD, progettato dallo studio Tiziana Monterisi Architetto, esempio di architettura passiva

MEM – L’altro tuo “pilastro” è la cosiddetta “edilizia passiva”, tanto che tu sei una progettista certificata “PassivHaus”. Di cosa si tratta esattamente?

B.S. – L’edificio passivo è quello che da un punto di vista energetico può arrivare a non consumare nulla. E’ una costruzione che si adatta perfettamente dal punto di vista bioclimatico alle caratteristiche del posto in cui sorge. Anche in questo caso si parte sempre da un concetto di massimo benessere per chi ci abita e da conoscenze che vengono da lontano, nel tempo: in pratica si recupera la cosiddetta “architettura vernacolare” realizzando gli edifici se possibile con materiali recuperati o tradizionali, lavorandoli con le odierne tecniche innovative. Se giriamo nella nostra Italia abbiamo esempi a non finire di questo genere di architetture, soprattutto nelle aree rurali. A livello globale cito due casi evidenti: gli igloo, che sono cupole perché la sfera è la figura geometrica che permette la minima dispersione energetica possibile nel clima più freddo possibile, e le piramidi che, viceversa, rappresentano il solido che disperde di più il calore nelle zone più vicine all’equatore.

Spirito scientifico e Innovativo

MEM – Torna sempre il tuo approccio di fondo: recuperare la tradizione con spirito scientifico e innovativo.

B.S. – E’ un’opera di sistemizzazione delle conoscenze sedimentate nella storia quotidiana. L’architettura vernacolare è un esempio lampante di come conoscenze antiche, realizzate e perfezionate empiricamente nel tempo, oggi vengano validate dalla scienza. Avere a disposizione “energia facile”, quella che ci permette di generare caldo o freddo schiacciando semplicemente un tasto, ha rischiato di far perdere questo preziosissimo bagaglio culturale e progettuale in favore dell’impiantistica. Applicando i princìpi bioclimatici, dobbiamo prendere atto che gli impianti vanno  ridimensionati anche perché durano meno e richiedono molta più manutenzione rispetto all’involucro che li contiene. Oltre, naturalmente, all’impatto ambientale ed energetico che abbiamo finalmente capito non essere più sostenibile nel tempo.

L’illuminotecnica

MEM – Prima di chiederti cosa offrirai agli utenti MEM con i tuoi corsi, un ultimo aspetto della tua professionalità: l’illuminotecnica. Di cosa ti occupi precisamente?

B.S. – Mi  sono concentrata sull’illuminazione naturale. L’ispirazione mi venne da un Master che frequentai una ventina di anni fa alla North London University: studiando gli edifici a ridotto consumo energetico mi trovai a doverne affrontare  il progetto illuminotecnico riducendo al minimo indispensabile la componente artificiale. Anche in questo caso, al risparmio energetico ho dovuto anteporre il benessere psicofisico: la direzione  è svincolarsi il più possibile dall’illuminazione artificiale e utilizzarla in un’ottica di integrazione con la componente naturale, oltre che rispettare i cicli circadiani, in altre parole i nostri bioritmi naturali. 

Le nuove tecnologie a led sono una croce e una delizia: da un lato bisogna saperle scegliere perché alcune possono provocare squilibri a livello circadiano, dall’altro permettono qualità luminosa abbinata a risparmio energetico e soluzioni inedite. La discriminante è sempre la conoscenza del mezzo che abbiamo a disposizione.

MEM – E adesso veniamo a noi: cosa dovrà aspettarsi chi vorrà partecipare ai tuoi corsi su MEM?

B.S. – Le materie che tratterò sono quelle di cui abbiamo parlato finora: materiali naturali, illuminazione naturale, illuminazione circadiana; il tutto in un’ottica biofilica, di architettura circolare e soprattutto di ricerca della salubrità, comprendendo le conseguenze fisiologiche delle nostre scelte progettuali. Parlerò inoltre dei materiali circolari, sia naturali che artificiali, realizzati con gli scarti naturali di altre lavorazioni. 

Una cosa che tengo a precisare è che alternerò sempre spunti teorici ad esempi pratici perché il mio scopo non è tanto fare grandi excursus teorici o storici, ma dimostrare attraverso una serie di spunti ispirazionali che anche i progetti più arditi si possono realizzare, basta pensarli in maniera consapevole. Vorrei dimostrare che si può progettare meglio coniugando la logica della conoscenza con le emozioni.

MEM – Quali obiettivi ti poni nella tua attività divulgativa? Perché hai scelto proprio MEM per proporla?

B.S. – Accanto alla mia attività quotidiana di progettazione e di direzione lavori, ho sempre voluto inserire quella divulgativa, concretizzata attraverso la scrittura di articoli e libri, attraverso l’insegnamento e la partecipazione a conferenze. Questo tipo di attività mi costringe a crescere professionalmente ed umanamente attraverso l’aggiornamento continuo e il confronto con gli altri. In quest’ottica ho scelto MEM perché sono rimasta colpita dalla qualità degli insegnanti, cosa che, credimi, è davvero rara soprattutto online. Il mio obiettivo è quello di divulgare una sostenibilità più agìta che parlata; vorrei ispirare altri, gettare dei semi sperando che germoglino innestando una rivalutazione della cultura del recupero a discapito dell’usa-e-getta. In questo modo potremo concretamente, tutti insieme, ridurre l’impatto ambientale attraverso l’architettura e il design.

MEM – Un’operazione culturale attraverso un approccio pratico ed esperienziale, quindi.

Vedi, un altro dei motivi che mi ha spinto verso MEM è che condividiamo la stessa filosofia didattica di fondo: oggi la formazione istituzionale è troppo teorico-accademica, quasi autoreferenziale. Raramente i docenti universitari sono anche progettisti e può succedere che manchi un lato pratico a ciò che viene insegnato. Siamo soffocati da un eccesso di istituzionalizzazione e di certificazione a discapito di una visione realistica, che comprenda anche gli aspetti economici e le conseguenze pratiche delle nostre scelte. In quest’ottica, se non impariamo a ragionare in termini di costi-benefìci considerando il medio-lungo periodo, non saremo mai in grado di comprendere – e quindi di proporre al cliente – un bilancio energetico ed economico realistico di ciò che proponiamo nei nostri progetti. Per esempio, quanto può risparmiare il cliente in termini di impianti e di consumo energetico a fronte di un piccolo investimento iniziale aggiuntivo in termini di isolamento? Dobbiamo imparare a ragionare in un’ottica di ammortamento e di guadagno nel tempo, per poi trasmetterlo ai nostri committenti. Si tratta di tornare a far durare le cose, a ripararle e a riusarle invece di pensare subito ad aggiungerne compulsivamente di nuove, edifici compresi.

Ma sempre con un occhio alle novità scientifiche e tecnologiche, che possono aiutarci significativamente a raggiungere questo scopo. Se riuscirò a far passare questi concetti in modo che si espandano, mi riterrò soddisfatta.

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