Abitare dopo un evento catastrofico: l’esperienza di Luca

L’abitare si trasforma nel tempo. Talvolta in modo improvviso e traumatico. Ci è facile immaginare quindi che cosa possa succedere dopo un evento catastrofico come il terremoto: oggi vi proponiamo l’esperienza di Luca.

 

Il terremoto è un evento che coinvolge almeno 3 dei 5 sensi.

Anzitutto l’udito: il terremoto è uno degli eventi più rumorosi della natura.

La prima cosa che accade è l’ascolto del “boato”, l’”urlo della terra”: come l’esperienza dello scottarsi, quel tonfo sordo, improvviso, cupo, che corre verso di te sotto i tuoi piedi, rimane impresso per tutta la vita, ad allertarti per tutte le prossime volte che dovessero esserci.

Poi entra in gioco l’equilibrio: l’onda meccanica del suolo che si solleva o che si sposta si sente arrivare sotto la pianta dei piedi, fa perdere ogni riferimento e aumenta a dismisura la sensazione di pericolo. Ma può essere molto complicato muoversi perché al terrore si somma lo scuotimento meccanico a bloccarti.

Poi subentra il tatto: se è notte, è l’unico senso che può aiutarti a muoverti nello spazio; se è giorno e non sei finito sotto delle macerie, cerchi disperatamente un contatto con qualsiasi forma, vivente o no. Spesso è un aiuto per scappare, perché le gambe sono paralizzate dalla paura e dal movimento furibondo del suolo.

L’odorato e il gusto possono non attivarsi: a meno di non abitare vicino a qualche fonte d’acqua che improvvisamente si metta a odorare di zolfo o a qualche fabbrica o cucina o caminetto, restano sensi poco attivi, residuali. La bocca ti resta secca, scompare la salivazione, il massimo del gusto che puoi sentire è quello della polvere dei muri scrostati o crollati.

Poi, finalmente, tutto cessa. E subentra un silenzio assolutamente irreale, spettrale, improvviso. Rotto al massimo da qualche cosa che per inerzia continua a cadere, ma isolatamente.

A quel punto gli scenari possono essere due: la tua casa è lesionata o crollata; oppure sembra risparmiata, a parte il disordine e le crepe che scopri ovunque, lungo gli intonaci delle pareti. Increspature lievi o profonde, geometrie impensate che percorrono tutte le stanze, qui più numerose, là appena accennate.

Dunque, psicologicamente c’è sempre e comunque una prima perdita: il tuo spazio intimo è stato violato, a prescindere dall’entità del danno.

Lo spazio abitativo non è più quello di prima ed è continuamente minacciato. Si perde la sicurezza ambientale e quella interiore.

Sembrerà paradossale, ma se tutto è irrimediabilmente danneggiato è quasi meglio perché devi confrontarti subito con il trauma da perdita. Non hai il tempo di pensarci su, devi reagire in un modo o nell’altro.

Ben peggiore è la situazione di apparente ritorno alla “normalità”, supportata magari da qualche affrettata perizia che ti rassicura sulla mantenuta stabilità dell’edificio e sulla “superficialità” dei danni subìti. La casa diventa allora un corpo ferito che invece di essere curato continua a sanguinare qua e là ogni ora che passa e ad ogni scossa “di assestamento” piccola o grande. C’è chi cerca di ripristinare in fretta e furia gli spazi abitativi per raccontare e raccontarsi la totale transitorietà dell’evento passato; c’è chi resta bloccato e non riesce a sistemare un bel niente, consapevole che comunque nulla potrà tornare come prima. Eppure sembra che la tela si sia salvata, solo la cornice è fissurata, sbollata, scorticata: basterà restaurarla non appena le vibrazioni saranno cessate.

Poi arriverà il verdetto definitivo: dovrai lasciare la casa per ristrutturarla. In profondità o meno, a seconda del tipo di intervento necessario o deciso: è il secondo trauma abitativo.

Cui si aggiunge immediatamente il terzo: l’esilio. Nella più ottimale (ma residuale) delle ipotesi scelto in piena consapevolezza; nella meno brutta, temporaneo presso strutture e persone amiche; nella peggiore, permanente o semi-permanente in strutture non scelte e spesso del tutto inadeguate: nel centro Italia ne sanno qualcosa gli abitanti delle tristemente famose “Soluzioni Abitative d’Emergenza” (S.A.E.), che per molti sono divenute il nuovo spazio domestico definitivo imposto.

A questo punto si pone il problema di ricostruire (letteralmente) lo spazio abitativo, quale che sia lo sbocco della situazione emergenziale. Come gestirlo? Ricostruendo il più possibile quelli da cui ci si è dovuti separare violentemente o negandoli e superandoli allestendo spazi e geometrie del tutto nuove? Cercando di portarci quanti più oggetti possibili provenienti dalla situazione da cui si è usciti o inserendone solo (o quasi) di nuovi? Usando materiali conosciuti e familiari, miscelandoli con nuovi o sostituendoli del tutto?

Se queste sono le considerazioni che si possono fare per gli interni, una parola va spesa anche per l’esterno. Chi ha avuto modo di vedere le S.A.E. avrà senz’altro notato la cura quasi maniacale che gli abitanti hanno dei fazzoletti di terra che circondano le loro nuove dimore. Spesso proprio quegli spazi esterni diventano il vero, nuovo luogo dell’anima da contrapporre alla precarietà degli interni; un ribaltamento di prospettiva difficile da immaginare per chi abita la casa che ha scelto.

Quale apporto possono dare le professioni legate all’abitare che intervengono in situazioni del genere?

#progettazione

Come progettare un interno forzosamente condiviso, o uno realizzato senza possibilità di intervento sulla struttura, oppure uno da rifare interamente ex-novo?

Cosa proporre in caso di ricostruzione in loco o di ricostruzione extra loci ? Quale rapporto costruire con l’esterno, per esempio nel riprogettare -laddove possibile- delle finestre oppure gli spazi antistanti, retrostanti o circostanti la nuova casa?

Quale ascolto e quale consulenza sono possibili nel progettare con una clientela provata da un’esperienza così devastante?

I corsi e l’approccio metodologico di MEM cercano di dare delle risposte anche in casi come questi, molto più comuni di quanto sembri.

Perché se il (forte) terremoto è un’esperienza relativamente localizzata, altri traumi possono riguardare lo spazio abitativo: dalle catastrofi meteorologiche a quelle causate dalla criticità geologica dei nostri suoli, fino alle devastazioni interiori causate da separazioni, perdite e lutti umani. Che, non di rado, si sommano alle cause esterne.

La consapevolezza di queste importanti fragilità può rendere i professionisti dell’abitare molto più attenti ed empatici con i propri clienti influenzando la qualità dei propri rapporti e del lavoro progettuale. Sia che si tratti di interventi radicali e definitivi, che di “semplici” restyling temporanei.

Ogni dettaglio, dalla suddivisione dei nuovi spazi alla scelta dell’illuminazione artificiale, passando per la pittura e il materiale di mobili e accessori, fino alla scelta dei materiali edili in caso di ricostruzione totale, assumono una valenza psicologica troppo importante per continuare ad essere misconosciuta.

Di qui l’importanza di aggiornarsi attraverso un approccio “evidence-based design” che travalichi (e superi?) ricette più tradizionali.

Questo è il #metodoMEM e l’offerta di MEM.

 

Articolo scritto da Luca Perilli, copywriter, abitante.