“Design for All”, o “Universal design”: l’atteggiamento progettuale inclusivo

Pensiamoci un attimo: nella vita, a ognuno di noi può capitare temporaneamente qualche difficoltà; per molte persone è invece una condizione costante.

Non basta abbattere le barriere: piccoli accorgimenti trasformano gli spazi rendendoli maggiormente vivibili per tutti, non solo per chi è in difficoltà.

Si chiama “progettazione inclusiva”, svolge un ruolo centrale nel ripensamento dellarchitettura contemporanea e riguarda sia l’outdoor che l’indoor. L’obiettivo è dare vita a spazi accessibili a tutti non rinunciando allestetica partendo dal principio secondo cui una disabilità appare evidente solo se il progetto non l’ha prevista.

 

Bisogni primari tra individuo e collettività

 

Abbiamo tutti gli stessi bisogni primari: cibo, salute, riparo, relazioni affettive, realizzazione di desideri e talenti. Ma, che tipo di relazioni affettive, di cibo, di riparo? Come mantenere la salute e realizzare desideri?

Un edificio è come la scenografia di un film, descrive ed è “complice” delle esperienze che ospita. Qualsiasi spazio, interno o esterno, privato o collettivo, dalla stanza alla piazza, ospita relazioni tra persone. Se solo pensiamo alla fiction (film, serie tv, teatro o pubblicità), possiamo accorgerci quanto i luoghi siano scelti accuratamente per comunicare stati d’animo e valori.

Così è nella realtà, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.

Un edificio ospita sempre una comunità, anche se fosse realizzato per un singolo. Modifica il territorio e diventa parte del paesaggio comune.

Progettare in modo inclusivo significa imaginare e costruire spazi adatti a tutti, con o senza difficoltà, senza discriminazione.

E’ uno sforzo di immaginazione arricchente: per esempio, si può consentire il superamento di un dislivello installando un servoscala, oppure progettando una rampa integrata a una scalinata come tema compositivo e non come ripiego. Se non si inseriscono parametri relativi allaccessibilità in fase progettuale, si sarà costretti ad integrarli attraverso macchinari che appariranno estranei esaltando così il disagio di chi dovrebbe poi utilizzarli con naturalezza.

 

Questo esempio mette in evidenza una contraddizione tra personalizzazione ed inclusività:

quando la personalizzazione si limita a realizzare dettagli estetici spesso molto costosi, non promuove stili di vita che vadano nella direzione della coesione e dell’integrazione sociale. Diventa solo l’espressione di uno spiccato individualismo, cioè di esclusività; che è esattamente il contrario dell’inclusività. Divide invece di riunire.

 

L’ambiente unisce

Lo stesso vale per l’ambiente: una progettazione bioclimatica affronta il contesto e prevede edifici ben orientati in grado di rispondere alla climatizzazione invernale ed estiva, alla qualità dello spazio e della vita nei quali la tecnologia interviene solo in minima parte a compensare. Ancora una volta inclusività ed ecologia stanno insieme perché riguardano la vita intesa come relazione tra luoghi e persone, come restituzione della priorità al vivente, a ciò che cresce. Spesso invece la progettazione è concentrata sul costruito, che è inorganico. Si tratta quindi di tornare a concentrarsi sulla complessità di cui è caratterizzata la vita attraverso un approccio multidisciplinare, ovvero di molti sguardi che insieme progettano. Come proponiamo noi di MEM.

 

Superare stereotipi: alcuni esempi di progettazione inclusiva

Tutte queste riflessioni sono tornate di estrema attualità soprattutto dopo il contesto di emergenza che abbiamo vissuto per più di due anni, emergenza che ci ha costretto a un nuovo modo di vivere lo spazio architettonico. Eppure forse pochi sanno che l’Italia già nel 1968 è stata fra i primi cinque Paesi al mondo a dotarsi di un decalogo per la progettazione di spazi accessibili!

 

Allora come mai se ne parla insistentemente solo oggi, 55 anni dopo?

 

Perché dobbiamo ancora superare un vero e proprio paradigma culturale secondo il quale esisterebbero i “sani” contrapposti ai “disabili”. Occorre invece comprendere e assumere che la disabilità è una condizione relativa perché chiunque può essere disabile in qualche contesto. In architettura e progettazione questo significa superare il concetto di barriera architettonica per parlare invece di progettazione accessibile e inclusiva, abbandonando così l’idea di concepire la “soluzione perfetta” per un singolo bisogno verso quella più compatibile per le esigenze di tutti.

 

Qualche esempio di avanguardia: nel 2003 Mitzi Bollani (Design For You and All) ha consentito di rendere accessibili – a progetto concluso e cantiere in corso – tutti i livelli dei 50mila mq della sede del Comitato Economico Sociale Europeo e del Comitato delle Regioni di Bruxelles.

Più recentemente sono stati ripensati gli accessi di Palazzo Chiericati a Vicenza e del Pantheon a Roma.

Un caso interessante riguarda il Parco Rossi, un giardino romantico situato alle pendici del monte Summano, a Santorso, nell’alto Vicentino: in quel progetto sono state coinvolte diverse competenze complementari che hanno pensato un sistema di comunicazione e 19 racconti audio tematici con beacons bluetooth basati su tre argomenti – storia, acqua e alberi – disponibili in tre lingue: italiano, inglese e LIS. Il tutto accessibile tramite app in corrispondenza di una serie di tappe disposte lungo 2 percorsi: uno più facile, accessibile a tutti, che si chiama “Filo di Arianna”; l’altro, più misterioso e impervio, che si chiama invece “Labirinto”.

All’ingresso c’è una mappa di orientamento per accogliere i visitatori, presentare il parco e comunicare il sistema di visita multimediale con le istruzioni d’uso. La mappa è multimodale e multisensoriale, tattile e visiva, fruibile con il supporto di una app/audioguida.

Per facilitare la cognizione spaziale è stato creato un divertente e sorprendente strumento di wayfinding ispirato alla forma del parco: il drago Arac, che accompagna e guida il visitatore.

Esistono infine opere uniche come la Maison à Bordeaux, una casa su tre livelli progettata dall’architetto olandese Rem Koolhaas: un sistema di piattaforme mobili in orizzontale e verticale consente al proprietario, rimasto in sedia a rotelle, di “riappropriarsi del mondo” viaggiando attraverso i piani pur restando chiuso in una stanza. Con questo sistema è possibile di volta in volta scoprire la vista sul fiume Garonna, sul cielo o sulle colline della campagna francese.

Credits: Maison à Bordeaux

Credits: Maison à Bordeaux

Credits: Maison à Bordeaux

Oltre l’”effetto-WoW”, la progettazione comune

Senza pensare per forza in grande, è nei particolari diffusi su larga scala che si esplica la potenza della progettazione inclusiva: l’assenza di ostacoli di fronte a una soglia di ingresso, la progettazione di maniglie alla portata di tutti, un miglior sfruttamento del design di una cucina per consentire i movimenti, prediligere una forma quadrata per un ambiente bagno, scegliere piani doccia continui e pensare alla distanza dei sanitari, pre-definire con cura il disegno dei punti luce e delle prese di corrente di una casa, così come preferire porte e portefinestre a filo, sono tutti piccoli accorgimenti che fanno la differenza.

 

Per concludere, riportiamo le parole di Carlo Patrizio, docente all’Università “La Sapienza” di Roma e membro del gruppo di lavoro di Igiene dell’Ambiente Costruito della Società Italiana di Igiene: “Una città accessibile è un luogo dove una mamma che spinge una carrozzina non ha ostacoli, così come un turista che deve trasportare un trolley o un anziano che deve buttare un pezzo di carta”.

 

Si tratta dunque di progettare pensando ad un impatto sociale duraturo e ad una relazione responsabile tra l’ambiente e le persone, accogliendo bisogni e desideri, vincoli e opportunità di chi usufruirà di quei progetti. Ovvero, anzitutto ascoltando.