La casa, alla ricerca del nostro futuro

Il #progettoMEM è un progetto sociale. Quindi, inevitabilmente, anche culturale.

Permetteteci allora di aprire oggi una finestra “piccolo-filosofica” sul mondo dell’abitare.

Scavando negli #archiviMEM ci siamo imbattuti in questo laboratorio concepito da Archivio RAMI, acronimo che sta per Rescued Archive Memories Initiative, la “creatura” dell’artista  romana (scrittrice, storyteller, ecc. ecc.) Sabrina Ramacci.

La psicologia ambientale ci insegna che “ogni casa parla di noi, tutte sono messaggere del mondo interiore di ogni essere umano” (L.Tizi). Quando si progetta e si costruisce uno spazio abitativo personale, quindi, si realizza materialmente il mondo interiore del cliente che ce l’ha commissionata.

Ma in quale tempo si situa questo desiderio che siamo chiamati a realizzare come professionisti dell’abitare?

Ci viene in aiuto il concetto di “hauntology”, termine coniato nel 1993 dal filosofo francese Jacques Derrida. Il termine in sé è interessante: da un lato si pronuncerebbe come la parola “ontology”, se non fosse per quell’”h” aspirata iniziale che ci rimanda al concetto di “haunting”, cioè di “infestazione” riferita ai fantasmi. Il gioco di parole evocato da Derrida è quindi chiaro: l’essenza della realtà rimanda sempre a un fantasma che la perseguita. Imprigionandola però in futuro segnato dalla rielaborazione del ricordo. In questo cortocircuito temporale tutte e tutti noi costruiamo il nostro spazio ideale e materiale, in primis quello abitativo. Senza accorgercene razionalmente.

La manifestazione più evidente di questo paradosso (ma forse anche la più superficiale?) è il prepotente affermarsi della moda “vintage” nei nostri tempi moderni. Recuperare oggetti o architetture di decenni andati per inserirli all’interno di ambienti moderni, il più delle volte minimali, è diventata ormai una moda: la “retromania” ha raggiunto il culmine negli ultimi anni, come ben dimostra Simon Reynolds nel suo libro “Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato” (Minimum Fax, traduzione di Michele Piumini).

 

Ad uno stadio successivo c’è il recupero di abitazioni, appartamenti, interi stabili concepiti “come se fossero stati appena costruiti”. Qui il paradosso dell’”hauntology” si esprime al massimo livello possibile: è evidente che quella ricostruzione non potrà mai essere fedele all’originale, non foss’altro che per i materiali e le tecniche utilizzate per realizzarla. Ma anche e soprattutto per le motivazioni che stanno dietro quel costruire.

Facciamo un esempio pratico: avete mai visto quelle magnifiche case coloniche trasformate in vere e proprie ville rispettando scrupolosamente l’architettura e l’estetica dei materiali originali?

 Ma, soprattutto, qual era lo scopo del loro abitarci e quello di chi l’ha ristrutturata decenni e decenni dopo? Per i contadini di allora la casa era un prolungamento del loro duro lavoro di fatica, spesso essa conteneva già in sé spazi adatti ad accogliere animali o depositi di materiale vegetale (si pensi a stalle e fienili, per esempio. O ai depositi per la legna e ai forni per cucinare grandi quantità di cibo di origine animale o vegetale o mista).

Chi l’ha ristrutturata nel modo che abbiamo detto ha in mente di tornare a quel modo di vivere la campagna?
Neanche per sogno: nella stragrande maggioranza dei casi si pensa a uno spazio di riposo, lontano dal tran tran cittadino, nell’illusione di fare un salto all’indietro in un passato immaginario, culturale, pur in presenza delle più aggiornate tecnologie dell’abitare e del controllo.
In quale tempo si situa uno spazio simile? Con quali conseguenze per il cliente che la commissiona? Che futuro avrà?

Sembrerebbero domande teoriche, invece hanno implicazioni molto pratiche e dirette: quali materiali scegliere per il cliente? Come progettare gli spazi interni cercando di evitare che la casa lo imprigioni invece di essergli almeno minimamente funzionale? Quali oggetti la arrederanno?

Per complicarci un po’ la vita, da qualche anno si è aggiunta una ulteriore “sospensione temporale”: quella di internet e dei suoi strumenti social. Che conferiscono una sorta di “eternità” a qualsiasi cosa venga immessa nel web. Senza contare il facile accesso a immagini o testimonianze di oggetti, spazi, parole provenienti dal passato, e al narcisismo che si cela nell’atto di mostrare, condividere e commentare i vari contenuti digitali.

Da qui l’importanza di un aggiornamento diverso, eterodosso, inclusivo, nuovo per chiunque eserciti o aspiri ad esercitare qualsiasi professione legata all’esperienza dell’abitare.

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