Giorgia Donini: sviluppare una comunicazione efficace? Possibile

Giorgia Donini, senior marketing project manager, e creatrice del Progetto M.E.M. da anni si occupa di sviluppo e coordinamento progetti per aziende pubbliche ed enti privati.

Si era già raccontata in un cliccatissimo articolo del nostro blog nel quale ha condiviso la sua vicenda umana ed imprenditoriale.  

Abbiamo deciso di incontrarla per poterci parlare dell’importanza del rapporto tra progettista e committente e la gestione di complessi gruppi di lavoro e relazioni.

 

Parlare con Giorgia Donini significa essere travolti da un irrefrenabile entusiasmo gentile.

A maggior ragione quando è chiamata a descrivere un tema a lei molto caro, le relazioni.

Una sintesi del #metodoMEM sul quale abbiamo spaziato con lei per capire il senso profondo, il funzionamento e l’offerta dell’azienda che ha creato e che dirige.

 

MEM – Giorgia, MEM, iniziamo subito da una domanda fondamentale: quanto è importante la relazione con il proprio committente, sia esso pubblico o privato?

G.D. – Fondamentale. Da anni mi occupo di progettazione e realizzazione di idee e visioni di imprenditori e dirigenti di strutture pubbliche che attraverso campagne di sensibilizzazione o specifici tools di marketing, hanno voluto seminare consapevolezza, sensibilizzando ed informando.

Non sempre è facile stabilire una connessione chiara e funzionale, spesso intervengono cambi di direzione dovuti a strategie che possono stravolgere le linee guida iniziali, “stare sul pezzo” non è sempre semplice…

Mantenere il focus, creare  e rispettare quel file rouge che spesso e volentieri si spezza, ma che deve esser “ricucito” in modo sartoriale e decisivo per contribuire alla realizzazione del progetto, che è sempre l’obiettivo determinante, il focus di tutto il gruppo di lavoro.

 

MEM – Giorgia, puoi portarci un esempio pratico?

G.D. – Certamente, la consulenza intellettuale e ora di progettazione, appena conclusa per l’Istituito G. Binotti di Serra Sant’Abbondio.

Anzitutto tengo a precisare che ero la figura di riferimento verso l’esterno e la coordinatrice interna di un gruppo di professionisti e professioniste semplicemente meraviglioso che ha operato in un’ottica propositiva e senza mai sivrapporso. Questo perché abbiamo avuto sempre ben chiaro lo scopo di ciò che stavamo facendo: garantire il benessere dei principali fruitori degli spazi che ci avevano affidato; parlando di una Scuola Primaria, le bambine e i bambini che frequentano o che frequenteranno quel plesso scolastico. Ma non ci siamo fermati a loro, abbiamo pensato anche al personale docente, al personale A.T.A., ai genitori dei bambini e alla comunità di cui fanno parte.

La sfida che abbiamo accolto con grande entusiasmo è stata proprio lo studio, l’approfondimento dei bisogni dei fruitori degli spazi, che senza l’ascolto, l’empatia e il focus continuo, non si sarebbe mai verificata.

Pensa a come coordinare nr. 9 professionisti interni al progetto e nr. 12 figure esterne, con esigenze, tempistiche e motivazioni diverse?

 

MEM – Come si è svolto praticamente il vostro lavoro?

G.D. – Ogni professionista ha dato il suo contributo pensando principalmente al benessere delle bambine e dei bambini, momenti di brainstorming nei quali cercavamo di far emergere qualsiasi idea, anche la più bizzarra ed improbabile, scegliendo la migliore soluzione.

Man mano che procedevamo, abbiamo sottoposto alle bambine, ai bambini, al personale A.T.A. e agli insegnanti a test inclusivi che ci permettevano di comprendere effettivamente i loro bisogni e di correggere il tiro della nostra progettazione. Abbiamo lasciato che ognuna e ognuno si potesse esprimere secondo il linguaggio che gli era più congeniale: disegni, racconti orali o scritti, risposte secche, ecc…

Così ispirati, ognuna e ognuno di noi ha potuto dare il meglio di sé nel proporre soluzioni: le educatrici si sono espresse su colori, superfici, disposizione e scelta dei materiali per bambini e bambine; i progettisti per la messa in opera delle innovazioni interne ed esterne.

 

MEM – Quali strumenti suggeriresti per migliorare la comunicazione con i nostri committenti?

G.D. – Il più importante fra tutti? L’ascolto dell’altro in primis e di sé.
L’altro è una grandissima fonte di ispirazione, detiene tutte le risposte che ci servono per creare spazi veramente di benessere ed estremamente personalizzati.

“Basta” porre le giuste domande, soprattutto nell’appropriata modalità in assenza di giudizio e senza affrettarsi nel giungere a conclusioni, perché sono spesso riflesso del nostro sentire, della nostra esperienza. Una parola, una riflessione, risuonano nella nostra mente e ci sentiamo pronti per dare subito la nostra soluzione, ma attenzione è proprio in questo istante che dobbiamo fermarci e lasciare spazio all’altro.

L’ascolto è alla base di qualunque confronto.

Secondo: trascrivere per ricordare quelle parole chiave, cariche di significato perché ripetute più e più volte dal nostro committente in fase di intervista o sopralluogo.

La parola chiave nasconde un universo che potrebbe diventare il timone di tutta la fase progettuale ed esecutiva.

Terzo suggerimento? Responsabilizzare.

Complesso, ma fondamentale per una comunicazione chiara e agevole, ricordare al committente che lo spazio è il suo, coinvolgerlo anche con semplici esercizi di esperienze propositive vissute in case o spazi in cui si sono sentiti protetti, al sicuro. Ciò ci permette di addentrarci in quella dimensione emotiva abbastanza profonda da aprire porte e stimoli dove il progettista può esprimersi in tutta la sua creatività e competenza.

MEM – E la ricerca in questo senso, quanto conta?

G.D. – Tantissimo, i numeri, le statistiche, la ricerca sono indici di professionalità
La base da cui partire per portare chiarezza su scelta progettuali, ma anche di stile.

Noi di MEM ad esempio, attraverso le più innovative indicazioni scientifiche che rientrano nel metodo Evidence Based Design, siamo in grado di poterci aprire, ascoltare e confrontare continuamente con i committenti nella massima concretezza possibile.

In pratica, siamo in grado di descrivere perché quello specifico ambiente dovrebbe avere determinate caratteristiche e non altre (ad esempio nella scelta dei colori, dei materiali, della disposizione degli spazi, dei complementi d’arredo, ecc.), quando di portano questi temi, il cliente non solo comprende, ma apprezza.

 

MEM – Un’ultima cosa, Giorgia: MEM ha da sempre una vocazione formativa: ce ne parli brevemente?

G.D. – La formazione è il nostro punto di forza. Attraverso la collaborazione con le più importanti Associazioni Professionali del settore come I.A.C.C. Italia o la Fondazione Nazionale Montessori, e attraverso l’impegno di affermate professioniste e professionisti che condividono il nostro approccio e il nostro metodo, offriamo Corsi, Webinar, Tavole Rotonde su argomenti come il Biophilic Design, la Psicologia dell’Abitare e quella Ambientale, la Luce e il Colore, i Materiali Naturali, il Ritmo circadiano o Bioritmo applicati alla progettazione di spazi residenziali, lavorativi, collettivi e sociali.

Ricordo nello specifico la tavola rotonda: Psicologia e abitare: come comprendere il committente data unica Martedì 17 ottobre dalle ore 17.00 alle ore 20.00.

Un appuntamento creato appositamente per MEM e i suoi clienti, dalla psicologa, psicoterapeuta e scrittrice Donatella Caprioglio, un’occasione unica per confrontarsi con una terapeuta di fama internazionale proprio su tematiche legate alla relazione con il nostro cliente.

Un momento intimo e privato di confronto con la Dott.ssa Caprioglio e tutti gli altri partecipanti alla tavola.

I posti sono appositamente limitati per creare quello spazio accogliente che ci contraddistingue.